Quando -aggine e quando -agine?

Molto spesso, nello scrivere, si resta perplessi sulla grafia delle parole che finiscono in -gine: una o due g? Perché, per esempio, abbiamo voragine (una g) e stupidaggine (due g)?
Per dissipare una volta per tutte questo genere di dubbio si può ricorrere a una regola empirica — contraddetta, però, da alcune eccezioni; queste non mancano mai — secondo la quale prendono la doppia g (aggine) i vocaboli che, privati della desinenza -aggine o -agine, danno vita a una parola di senso compiuto: buffonaggine (buffona); stupidaggine (stupida); testardaggine (testarda).
Si avrà, invece, una sola g (agine) quando tolta la desinenza al vocabolo in esame resta un termine privo di senso compiuto: voragine; indagine; cartilagine.
Se, infatti, togliamo la desinenza (aggine o agine) alle parole sopra elencate otteniamo dei vocaboli che non hanno alcun senso: imm(agine); vor(agine); ind(agine); cartil(agine).
Ecco, però, subito una prima eccezione: Cartagine.

06-12-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


Far gabole

Il modo di dire che avete appena letto — con molta probabilità — è sconosciuto ai più, ma non per questo non adoperato o relegato nella soffitta della lingua.
Tutti, invece, prima o poi, abbiamo avuto modo di conoscere i gabolieri, vale a dire le persone che mettono in atto la locuzione, che significa tessere imbrogli, trafficare in operazioni complicate e poco pulite. L'espressione si rifà alla voce longobarda gabola (trappola).
Colui che fa una gabola, quindi, in senso figurato, prepara una trappola in cui far cadere la persona poco avveduta. Il gaboliere, insomma, con il suo modo di fare imbroglia le persone e da qui è nato anche l'altro modo di dire, raccontar gabole, cioè frottole, dare a intendere cose non vere o inverosimili.
Allora, amici lettori, ora che avete appreso il significato di questa locuzione, fate mente locale, come usa dire, e vedrete in quanti gabolieri vi siete imbattuti nel corso della vostra vita.

05-12-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


Una punizione orbiliana

Una volta tanto siamo d'accordo sulla scelta dei lessicografi, della (quasi) totalità dei vocabolari, di aver relegato nella soffitta della lingua l'aggettivo orbiliano.
Perché siamo d'accordo? Perché questo aggettivo ricorda i tempi in cui nelle scuole erano consentite le punizioni corporali, non degne di un Paese civile. Orbiliano, dunque, significa manesco, corporale e simili.
È tratto dal nome del grammatico latino Lucio Orbilio Pupillo, precettore di Orazio. Questo maestro non si faceva scrupoli di ricorrere alla sferza sui propri alunni, per... educarli.

Wikipedia - Lucio Orbilio Pupillo  
Lessico universale italiano - Volume 15 - Pagina 412

04-12-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink