Il soldo e il soldato

Forse non tutti sanno che c'è una parentela etimologica tra il soldo e il soldato. Vogliamo vederla? Anzi, scoprirla?
Cominciamo dal soldo, che è una moneta — ormai scomparsa dalla circolazione — di basso valore: la ventesima parte di una lira (prima dell'avvento dell'euro). Il suo valore, dunque, era talmente infimo che noi, per mettere in risalto il fatto che una determinata cosa non vale assolutamente nulla diciamo, infatti, che non vale un soldo.
In origine, però, non era affatto cosí: il termine soldo indicava una moneta pesantissima e, per tanto, di immenso valore. Si pensi ai Romani, che chiamavano nummus aureus solidus o, semplicemente, solidus , la moneta (nummus) di oro massiccio.
Il termine, dunque, ha cambiato di significato (si fa per dire) per il mutare dei costumi e delle condizioni storiche in cui vivono i parlanti: la perdita di valore della moneta ha tolto valore anche al suo nome.
Questa premessa sul soldo per vedere, appunto, la parentela con il soldato. Occorre, però, tornare indietro nel tempo in cui gli eserciti erano formati dai cosí detti mercenari, vale a dire da gente che si metteva a disposizione, o meglio al servizio, di un signore o di uno Stato ricevendone un compenso.
Questo compenso era chiamato soldo (perché consisteva in moneta, solidus) e coloro che lo percepivano erano chiamati assoldati, vale a dire arrolati per guadagnarsi il soldo. Da assoldato — per il solito processo linguistico — è venuto il soldato, termine che si è conservato anche ora che i soldati non sono piú mercenari.
E a proposito di mercenari, il vocabolo non vi dice nulla? Analizziamolo assieme: dal latino mercenarius, derivato di mercedem (mercede, paga). Il mercenario, quindi, è «colui che serve gli altri per mercede». Il vocabolo era molto 'in voga' alla fine del Medio Evo e nel Rinascimento in quanto designava, appunto, le truppe mercenarie, che servivano chi piú pagava, combattendo senza passione e senza fede (politica).

03-10-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


Il capestro

Abbiamo notato che alcuni dizionari classificano il sostantivo 'capestro' tra i vocaboli di etimologia incerta, pur provenendo dal latino capistrum. Noi, modestamente, cercheremo di provare che si tratta di un sostantivo deverbale proveniente dal verbo latino capere (prendere). Da questo verbo — con il trascorrere del tempo — è nato, sempre in latino, un altro verbo, intensivo di capere e passato pari pari in italiano, captare e vale, letteralmente, prendere con astuzia, con forza, con accortezza.
Torniamo, ora, al capestro, cioè alla fune per animali. Quando mettiamo il capestro attorno al collo degli animali non li prendiamo con la forza o con l'astuzia? O quando si condanna al capestro un uomo, non si usa, forse, la forza?
E uno scapestrato chi è, se non un individuo senza capestro, cioè una persona che conduce una vita sfrenata, disordinata, priva di regole perché la sua mente non è atta a prendere e, quindi, a contenere le idee? Ma non finisce qui.
Se non abbiamo preso una topica, con capestro si intende anche un abito femminile scollato. E qui attendiamo eventuali smentite dalle gentili lettrici.

02-10-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink


Avere l'anello di Gige

Siamo sicuri che — nonostante questa locuzione sia pressoché sconosciuta ai piú — moltissimi amici lettori avranno avuto occasione di conoscere e, forse, di frequentare, loro malgrado, delle persone in possesso, appunto, dell'anello di Gige.
Quest'espressione si riferisce a persone che sono maestre nell'arte di scomparire quando, al contrario, la loro presenza è indispensabile, soprattutto di fronte a una situazione spiacevole. Donde viene questo modo di dire?
Secondo una leggenda narrata da Platone, Gige, ricchissimo re della Lidia (secolo VII a.C.), possedeva un bellissimo anello di ottone che gli consentiva di rendersi invisibile ogni qual volta che lo ritenesse opportuno (per controllare, senza esser visto, l'operato dei suoi collaboratori, NdR).
Si usa, quindi, questa locuzione, a proposito di persone che sembrano avere la stessa prodigiosa facoltà di scomparire di fronte a situazioni 'scabrose': Giovanni ha l'anello di Gige; se n'è andato, è 'scomparso' per non trovarsi invischiato in quella faccenda.

01-10-2018 — Autore: Fausto Raso — permalink