Soffiare il naso alle galline
Ecco un modo di dire, cortesi amici, veramente sconosciuto ai più e soprattutto a coloro che, senza saperlo, lo mettono in pratica con il loro atteggiamento.
La locuzione si adopera, infatti, allorché si vuole mettere in evidenza il fatto che una persona si ostina a cimentarsi in un’impresa impossibile o si comporta in modo ridicolo, ma soprattutto si dice di persone che si danno molto da fare senza concludere nulla o si atteggiano a geni capaci di fare qualunque cosa. Se ripercorrete a ritroso la vostra vita vi accorgerete di aver conosciuto moltissimi soffiatori di naso.
L’origine dell’espressione non è molto chiara: sembra sia un semplice scherzo partorito dal mondo contadino che sa trovare modi di dire pregni di sagacia. L’espressione è ben visibile nel Cecchi che tratta di un parassito che deride un oste esprimendosi con queste parole: «Vuol dare di becco, e commentar la legge, e parere il Tantusso, e quel che soffia il naso alle galline, e fare il dotto».
La stessa locuzione possiamo trovarla nell’arte poetica del Sacchetti il quale, apostrofando un tale che voleva a tutti i costi darsi arie di letterato, dice: «E tu con lo stampar quattro dozzine di sonettucci, credi immortalarti? Eh va’ a soffiar il naso alle galline».
Inoltrare? Meglio inoltrarsi
Checché ne dicano i vocabolari, lasciamo il verbo inoltrare al solo linguaggio burocratico: la pratica è stata inoltrata all’ufficio competente.
Noi, che amiamo il bel parlare e il bello scrivere, useremo il verbo suddetto, correttamente, solo nella forma intransitiva pronominale: inoltrarsi: ieri mi sono inoltrato nel bosco. Inoltrarsi cosa significa, infatti, se non proseguire verso l’interno, andare oltre?
Per quanto attiene al linguaggio burocratico, si potrebbe ovviare all’errore sostituendo inoltrare con altri verbi che fanno alla bisogna: inviare, spedire, sottoporre, trasmettere, presentare ecc. Ma tant’è.
Etimo.it - inoltrare
Qualche curiosità linguistica
Cominciamo con la stanza, nella quale vi trovate in questo momento mentre, davanti al computiere, state leggendo le nostre modeste noterelle. La stanza, dunque, che genericamente è il locale di un’abitazione delimitato dalle pareti, dal soffitto e dal pavimento, si rifà al latino (sempre questo!) stantia(m), tratto da stans, stantis, participio di stare (star fermo in un luogo, dimorare); la stanza, quindi, è il luogo in cui si dimora abitualmente.
Anche il soffitto è di provenienza latina, esattamente il latino volgare suffictu(m), participio passato di suffigere (coprire di sotto), composto con ‘sub’ (sotto) e figere (appuntare, fissare, quindi… coprire).
La finestra, vale a dire l’apertura praticata nel muro esterno di uno stabile per dare aria e luce all’interno (e anche per affacciarsi), sembra provenga da un’antica radice bha(n) (splendere, illumino) che, mutata la B in F, abbia originato il verbo greco φαίνω (phàino, illumino)
e questo il latino fenestra(m). La finestra, per tanto, si potrebbe definire un buco che illumina.
Dalla finestra passiamo al balcone, il cui significato scoperto è noto a tutti: grande finestra—porta, con uno sporto (sporgenza) delimitato da una balaustra, o ringhiera, o ingraticciata. E il significato nascosto? Questo ci è stato regalato dai Longobardi. è tratto, infatti, dalla voce teutonica Balk (trave). Il balcone non è un insieme di travi che possono o no sporgere dalla casa e da cui si può ammirare il panorama?
Di significato non nascosto è, invece, il suo sinonimo: terrazzo o terrazza. Entrambi i termini si rifanno alla… terra, sono tratti, infatti, dall’aggettivo latino terraceus (fatto di terra). In origine il terrazzo era, e in alcuni casi lo è ancora, un rialzo di… terra, sostenuto da murature, atto alle passeggiate e alla contemplazione. Per estensione è passato a indicare una parte della casa, scoperta o aperta da una o più parti.
Dizionario RAI.it

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