Una mano alla francese

Il sostantivo mano (di genere femminile, pur terminando in -o, perché ha conservato il sesso che aveva in latino) concorre alla formazione di alcune locuzioni che odorano di francese e, per tanto, da evitare in buona lingua italiana.

Vediamo le più comuni: fare la mano, colpo di mano e salutar della mano. La prima espressione l'adoperano i giocatori in luogo di quella “italiana" dare le carte.

È usata correttamente, invece, nell'accezione di “abituarsi", “essere avvezzo" e simili: occorre fare la mano a quel tipo di apparecchiatura.

La seconda, “colpo di mano", si può sostituire con aggressione, scorreria, rapina, prendere di sorpresa e simili, secondo i casi, naturalmente.

L'ultima, infine, e correttamente, salutare con la mano.

31-03-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


Io ìntimo o intìmo?

«Gentile dott. Raso,
un amico mi ha fatto scoprire la sua rubrica, definirla preziosa è riduttivo; l'ho messa subito tra i preferiti (è il PRIMO tra i preferiti). Ho scoperto anche il suo impareggiabile libro sul buon uso della lingua italiana, che ho subito scaricato dalla rete. Le scrivo per un quesito di natura ortoepica.
Giorni fa ho sentito un mio conoscente dire al figlio “ti intìmo (con l'accento sullaseconda “i") di rientrare prima delle 22.00”. Sono sobbalzato: la pronuncia del verbo intimare non è sdrucciola, vale a dire non ha l'accento tonico sulla prima “i"?
Grazie se avrò una sua cortese risposta.
Cordiali saluti.
Francesco P.
Ferrara


Cortese amico, il verbo intimare ha due pronunce, entrambe corrette. Una piana, all'italiana, con l'accentazione sulla seconda “i" e una sdrucciola, alla latina, con l'accento tonico sulla prima “i".
Veda il DOP (Dizionario di Ortografia e di Pronunzia). Dimenticavo: grazie del suo apprezzamento.

30-03-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


L'aggettivo

Cari amici lettori, permettetemi di presentarmi affinché possiate usufrire di me in modo corretto. Sono l'aggettivo, e di nobili natali, discendo, infatti, dal latino medievale adiectivum (aggiunto), composto di ad (presso) e iacere (gettare); propriamente significo colui che si getta presso; per questo motivo alcuni miei biografi amano definirmi quella parte variabile del discorso che si aggiunge al nome per indicare una qualità o per dargli una precisa determinazione. E sempre per il motivo di essere gettato accanto al nome sono stato diviso in due gruppi: qualificativo, se aggiungo al nome o sostantivo una qualità e determinativo se aggiungo al nome un preciso elemento che ne determini, appunto, la posizione o il possesso.
Prima di farvi degli esempi, per meglio chiarire questi concetti, mi preme rammentarvi che, essendo di aristocratiche origini, non mi piace vedermi sempre appiccicato al nome; spesso la mia aristocratica presenza non è necessaria, per questo adoro moltissimo ciò che di me ha detto Alphonse Daudet: L'aggettivo deve essere l'amante del sostantivo e non già la moglie legittima. Tra le parole ci vogliono legami passeggeri e non un matrimonio eterno. Quando scrivete (o parlate), quindi, non abusate sempre di me.
Tornando a bomba, se io dico una casa bella aggiungo alla casa, cioè al sostantivo, una qualità, vale a dire la bellezza; bella, per tanto, è un aggettivo qualificativo. Se dico, invece, quella casa, specifico quale casa, cioè la determino; quella, quindi, è un aggettivo determinativo. Gli aggettivi determinativi si dividono, a loro volta, in quattro specie: dimostrativi (quella); possessivi (mia); numerali (una) e quantitativi (poco).
Come mio cugino l'avverbio che può stare prima o dopo il verbo, anch'io posso essere collocato prima del sostantivo o dopo, non esiste una legge in proposito: posposto al sostantivo do maggiore spicco alla qualità che si intende mettere in evidenza. È una donna bella ha una sfumatura diversa, infatti, che non è una bella donna. Attenzione ai casi, però, in cui la collocazione dell'aggettivo può creare ambiguità: è una buona donna acquista un significato diverso da è una donna buona. Non finirò mai, dunque, di raccomandarvi di piazzarmi al posto giusto al fine di evitare incresciosi incidenti di percorso nelle vostre relazioni sociali.
Per quanto attiene alla concordanza, in linea di massima, devo essere dello stesso genere e dello stesso numero del sostantivo (o dei sostantivi) cui mi riferisco: il libro è bello; i libri sono belli. Quando sono in compagnia di due o più sostantivi dello stesso genere seguirò, ovviamente, il medesimo genere e sarò plurale: i libri e i quaderni sono belli. Se, però, si tratta di esseri inanimati o di concetti astratti o strettamente affini, di genere singolare, posso restare anch'io singolare.
Mi spiego meglio con alcuni esempi: la franchezza e la generosità romane. Ma anche: la franchezza e la generosità romana. L'aggettivo singolare romana si riferisce tanto a franchezza quanto a generosità. Ancora. Un cappello e un abito nero. Ma anche: un cappello e un abito neri.
E a proposito di colori, si faccia attenzione all'aggettivo marrone perché non è propriamente tale. So benissimo che i più lo considerano un aggettivo e lo concordano, quindi, con il sostantivo cui si riferisce cadendo, però, in un madornale errore. Marrone, dunque, non è un aggettivo come giallo, verde, rosso, nero ecc., ma un sostantivo che significa color del castagno, del marrone e resterà, quindi, invariato: guanti (del color del) marrone; giacca (del color del) marrone; scarpe (del color del) marrone. Nessuno, infatti, si sognerebbe di dire camicie rose; capelli ceneri ma correttamente: camicie rosa (del color della rosa); capelli cenere (del color della cenere). Perché il mio amico marrone deve essere violentato? Dimenticavo: quanto sopra detto vale anche per il mio collega arancione: camicie arancione, non arancioni.
Passo, ora, la parola al Pianigiani che vi illuminerà sull'origine della locuzione che ho adoperato prima: Tornare a bomba.
Cordialmente, il vostro amico Aggettivo

29-03-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink