Quest'oggi? No, oggi...

Ciò che stiamo per scrivere sarà censurato — siamo sicuri — da qualche linguista se, per caso, si imbatte in questo sito. Intendiamo parlare della locuzione quest'oggi che, a nostro avviso, è errata. Perché?

Perché l'aggettivo questo è insito in oggi, non c'è alcun motivo, quindi, di specificarlo. L'espressione, infatti, è il latino hodie, ovvero ho(c) die, in questo giorno.

Diremo e scriveremo correttamente, quindi, oggi, non quest'oggi.

C'è, forse, un oggi che significa domani o ieri? Oggi è questo giorno, non quello o quell'altro.

13-06-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


Fare una cosa a braccio...

... vale a dire con una certa approssimazione. Prima di parlare del modo di dire è necessario — per capire il modo di dire stesso — fare una breve introduzione sul braccio.
Come si sa il braccio vero e proprio, sotto il profilo strettamente anatomico, è quel tratto dell'arto superiore che va dalla spalla al gomito; comunemente, però, con il medesimo termine si intende tutto l'arto, fino alla mano. Questa parte del corpo umano è stata considerata — sin dai tempi dei tempi — un'estensione della volontà e della mente e con il tempo è divenuta il simbolo della forza e della capacità intellettuale.
Il braccio, inoltre, per secoli è stato un'unità di misura lineare il cui valore cambiava, seppure di poco, a seconda delle zone geografiche. Il braccio, insomma, era il metro attuale e veniva adoperato, infatti, per la misurazione dei tessuti. Questa unità di misura (circa un metro) rimase in vigore fino all'introduzione, in Italia, del sistema metrico decimale.
Su queste basi sono nate le varie espressioni come prestare il braccio, sottintendendo armato, a una causa; offrire il braccio o porgere il braccio, vale a dire un appoggio, un sostegno; essere il braccio destro (di qualcuno), cioè l'uomo di fiducia, in senso di intelletto: colui che è il braccio destro di qualcuno opera intellettivamente come la persona che sostituisce, è, insomma, sulla medesima lunghezza d'onda di pensiero.
A questo punto dovrebbero essere chiari il senso e l'origine dell'espressione fare una cosa a braccio e soprattutto — essendo più adoperata — la locuzione parlare a braccio.
La prima, che significa all'incirca, approssimativamente, fa riferimento al braccio come unità di misura ed è legata — generalmente — ai verbi valutare, vendere, misurare, procedere, andare e simili.
La seconda si riferisce soprattutto a un oratore o a un attore che improvvisano, i quali adoperano il braccio come fosse un copione o un testo da leggere, in senso figurato, naturalmente. L'oratore che parla a braccio, cioè senza leggere un testo preparato prima, è privo, in un certo senso, di misura, vale a dire di lunghezza di tempo in quanto il braccio indica(va), appunto, una misura approssimativa.

12-06-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink


Cavarsela per il rotto della cuffia

«E così, anche questa volta, agli esami d'italiano te la sei cavata per il rotto della cuffia», sbottò il padre, non celando un certo disappunto.
«Ma papà, cosa dici?! Agli esami ero a capo scoperto, non avevo nessuna cuffia».
«Sciocco, lo vedi che ho ragione, come hanno fatto a promuoverti se non conosci neanche il significato di ciò che ho detto? Voglio dire che sei stato promosso a malapena, per un pelo, di stretta misura. Si adopera quest'espressione, cioè cavarsela per il rotto della cuffia, quando si vuol mettere in evidenza il fatto che ci si è salvati da un pericolo, da un insuccesso — come nel tuo caso — solamente perché alcune circostanze ci sono state favorevoli».
«E la cuffia, papà, che c'entra? Forse si usa come talismano?».
Il padre, a questo punto, pensò proprio che la sventura si fosse abbattuta sulla sua casa, dandogli un figlio scemo. Poi si riprese e con calma tentò di spiegare al pargolo l'origine e il perché di questo modo di dire.
«Vedi, figliolo, questa frase idiomatica pare provenga da un gioco medievale, detto del saracino o della quintana. Il cavaliere, armato di lancia, doveva colpire lo scudo di un fantoccio, abbigliato da saracino, cercando di non farsi disarcionare. Spesso, però, i cavalieri venivano colpiti alla cuffia dalla mazza del fantoccio, ma i giudici di gara davano ugualmente buona la prova perché il concorrente non era stato disarcionato; pur non avendo effettuato una gara eccezionale, il cavaliere aveva vinto per il rotto della cuffia (la cuffia, cioè, si era rotta per l'urto
ma il cavaliere non era stato disarcionato, rimanendo incolume)
».
Per quanto attiene al nome del gioco, la Quintana (o del saracino), riteniamo sia interessante conoscerne l'origine.
Sembra derivi dal francese del XII secolo, quintaine, e questo dal latino quintana (strada trasversale del campo romano, dietro il pretorio, nella quale si teneva il mercato; strada di quinto rango, diremmo).
La quintana, all'inizio, era la strada che dovevano percorrere i cavalieri, poi, con il trascorrere del tempo, per estensione, ha assunto anche il significato di giostra, gioco.

11-06-2019 — Autore: Fausto Raso — permalink