Fare (o essere) il testimon di San Gennaro
I cortesi lettori amanti dei modi di dire e che ci onorano della loro attenzione — se faranno mente locale e andranno a ritroso nel tempo — non avranno difficoltà a individuare — tra i loro conoscenti — moltissimi testimoni di San Gennaro. Ma chi sono costoro? È presto detto: i bugiardi e gli impostori.
Allora, amici, quanti testimoni di vostra conoscenza vi sono venuti alla mente? Avete bisogno di una calcolatrice? Bando agli scherzi e vediamo l'origine della locuzione affidandoci — come facciamo spesso — a Ludovico Passarini.
«Questi (i testimoni di San Gennaro, ndr) erano (...) ciechi, rattratti, infistoliti, balbuzienti e simili, soliti a star sulla soglia della chiesa di San Gennaro in Napoli a buscar limosine. Fra i ciechi vi erano quelli che, anche con un occhio solo avrebbero infilato gli aghi al bujo; e quelli che, ciechi davvero, dicevano di veduta con questi occhi; fra i rattratti quelli che avrebbero corso il palio; e fra gli infistoliti quelli che, levata la fasciatura, non avrebbero mostrato che la cicatrice di una coltellata avuta in gioventù.
Cosicché costoro erano bugiardi e impostori: e non essendone il numero mai scarso, e delle loro furberie ed inganni più maiuscoli parlandosi spesso, ne derivò che andarono in proverbio, cosicché, per dare ad uno del bugiardone o del complice delle altrui furberie, fu appellato Testimonio di San Gennaro (...)».
Portar polli
Ci piacerebbe sapere quanti lettori — loro malgrado — hanno portato dei polli a qualcuno, hanno, cioè, favorito intrighi d'amore; si sono prestati, insomma, nel tenere i contatti tra due amanti.
Questo è, infatti, il senso figurato della locuzione, anche se poco conosciuta. E i polli cosa hanno che fare con i convegni amorosi?
Carlo Battisti, glottologo scomparso, fa derivare la locuzione dal francese poulet, diminutivo di poule, gallina, donde biglietto amoroso perché questo biglietto, dalle punte piegate, ricorderebbe le ali di una pollastra.
C'è buffo e... buffo
Ecco un vocabolo della nostra bellissima lingua che cambia completamente di significato a seconda delle funzioni: buffo. Questo termine, dunque, può essere tanto sostantivo quanto aggettivo.
Come sostantivo, forse poco conosciuto, sta per folata, soffio di vento: «Pareva dovesse crollare ad ogni buffo di vento» (I. Nievo).
Come aggettivo significa che fa ridere, che provoca il riso, comico, ridicolo e simili: è una storia veramente buffa.
Per un approfondimento ci affidiamo a Ottorino Pianigiani.
Dimenticavamo. Come sostantivo e di uso romanesco vale anche debito (l'etimologia è incerta) e si adopera per lo più nella forma plurale: Luigi è pieno di buffi.

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